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Dispositivi medici e garanzia di sicurezza: cosa dice la normativa

Dalla chimica all’ingegneria, sono tanti i settori che hanno vissuto una rapida evoluzione, soprattutto negli ultimi dieci o vent’anni. L’avanzare del progresso scientifico e tecnologico ha reso sempre più urgente la discussione in tema di sicurezza, con un particolare riferimento ai dispositivi medici e alle conseguenti ripercussioni sulla salute pubblica.

Prendiamo, ad esempio, il settore odontoiatrico, dove le numerose innovazioni riguardanti i materiali e le tecniche di lavorazione hanno determinato, da un lato, una migliore qualità e, dall’altro, l’abbattimento del costo dell’apparecchio per i denti, di una protesi, di un impianto, ecc.. Parallelamente, occorre verificare che tali novità non costituiscano un rischio per l’utente e, non meno importante, che diano luogo a benefici tangibili.

Utilizzare prodotti sicuri e certificati è un requisito essenziale per la tutela del benessere fisico e psicologico dei pazienti. È, dunque, necessario fissare degli standard validi su scala globale, apportando aggiornamenti a cadenza regolare: ciò è accaduto con l’entrata in vigore del Regolamento n. 745 del 2017, divenuto effettivo solo a decorrere dal 26 marzo 2021, ossia circa un anno dopo rispetto al termine previsto in origine (marzo 2020).

Vediamo, quindi, le disposizioni contenute nel Regolamento del 2017.

Cosa dice il Regolamento in materia di sicurezza?

Il nuovo regolamento si pone come una guida completa sulla sicurezza dei dispositivi medici, inclusi quelli impiantabili attivi. Esso, infatti, accorpa e sostituisce le precedenti direttive n. 90/385 e 93/42, fornendo indicazioni minuziose su due macro-aree:

1) norme da seguire nelle varie fasi di progettazione e fabbricazione;

2) requisiti di efficacia e sicurezza dei singoli prodotti.

La normativa si rivolge ai piccoli, medi e grandi produttori di dispositivi medici, cui spetta la responsabilità dell’intero procedimento, sino al momento della vendita all’utente finale: sono, quindi, comprese pure le fasi di trasporto e stoccaggio, durante le quali vige l’obbligo di prendere nota di eventuali incidenti e/o eventi avversi e riferire alle autorità competenti.

Oltre a stabilire le caratteristiche che ciascun prodotto deve possedere, affinché possa essere commercializzato sul territorio nazionale, il regolamento indica anche i passaggi da svolgere per ottenere la marcatura CE.  L’obiettivo, difatti, è quello di limitare i rischi per la salute del singolo e della collettività, garantendo al contempo qualità e affidabilità.

Cosa si intende per “dispositivi medici”?

La definizione di “dispositivo medico” è piuttosto ampia. Con essa, infatti, ci si riferisce sia ad apparecchiature sanitarie altamente specializzate – ad esempio, i macchinari per le radiografie o, tornando in campo odontoiatrico, per l’igiene dentale professionale – sia ad una gamma di prodotti di uso comune, tra cui cerotti, occhiali da vista o creme per il viso.

Anche gli stessi farmaci rientrano nella categoria: si va dalle terapie più invasive ai medicinali cosiddetti “da banco”, acquistabili cioè senza prescrizione e in luoghi diversi dalle farmacie, per giungere ai ritrovati di ultima generazione, come i vaccini.

Classificazione dispositivi medici: rischi e benefici

Tra le novità introdotte dal Regolamento in oggetto, troviamo la ripartizione dei dispositivi medici in tre classi, che tengono conto, innanzitutto, del rischio potenziale e, in secondo luogo, di altri fattori (tra cui il funzionamento ed il tipo di alimentazione energetica).

Alla luce di tale classificazione, i dispositivi ritenuti ad alto rischio sono quelli che prevedono uno scambio di energia con l’utente stesso: pensiamo, tra i vari esempi, ad una valvola cardiaca. All’opposto, invece, figurano prodotti come garze e bende, oppure ancora strumenti medici non elettrificati, come un semplice stetoscopio.

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